Manuela Mariotti

Ciao a tutte ragazze, come sono andate queste feste?
Iniziato bene il nuovo anno? Io, cibo a parte, molto bene!!

Questi sono giorni in cui riesco a godermi la mia famiglia, finalmente, cosa che durante il resto dell’anno riesco a fare meno..

Approfitto del momento del rientro per fare con voi un punto della situazione del nostro viaggio.

Quando siamo rientrate dalle vacanze ci siamo fermate a pensare ai buoni propositi della nuova stagione che stava per arrivare. Abbiamo parlato del valore che hanno le priorità e quindi gli obiettivi che ci diamo e come far sì che diventino per noi nuove abitudini. Abbiamo sviscerato l’importanza del saper dire no, sia per noi stesse sia per la persona che abbiamo difronte a noi. Ci siamo salutate con una piccola analisi sulla differenza tra aggressività, passività e assertività; ricordate?

Pensate che in inglese “To assert” significa mettere uno schiavo in libertà, vi sembra lontano da quello che ci siamo dette l’ultima volta? Io invece vedo molte assonanze, se vediamo noi stesse nel ruolo dello schiavo; tramite l’assertività si afferma se stessi, ma senza offendere o aggredire la persona con cui stiamo comunicando.

La parola assertività infatti deriva dal latino “ad serere”, che significa proprio condurre a sé.

Quando mi sono avvicinata per la prima volta a questi argomenti, avevo difficoltà a trovare degli esempi pratici di comunicazione assertiva. Mentre mi è sempre stata molto chiara la differenza tra comunicazione passiva e aggressiva; l’assertiva, nonostante capissi la “definizione”, non mi riusciva di tradurla nei miei colloqui. Oggi provo io a darvi ciò che ho trovato io con difficoltà, vi porto un esempio che mi ha aiutato molto.

Versione passiva: “Mamma mia quanto parla a voce alta il mio collega, mi dà un fastidio terribile, chissà se smetterà!”, generalmente questo è il discorso che ci facciamo nella nostra testa e che non tiriamo neanche fuori.

Versione aggressiva: “Vuoi smettere di parlare così forte! Mi dai fastidio!”. In questo caso il discorso non rimane solo nella nostra testa ma viene sputato fuori anche in malo modo.

Versione assertiva: “Sono in difficoltà perché non riesco a concentrarmi, posso chiederti di parlare con un tono più basso?”.

Riuscite a vedere la differenza?
La comunicazione si concentra su un problema che abbiamo noi e non su un “errore“ che sta facendo il nostro interlocutore.

In altre parole, il nostro collega non è in errore in maniera oggettiva (non ci sarebbe infatti nulla di male se fosse solo in stanza) la difficoltà sta in noi, a noi da fastidio il suo tono di voce.

Ok ragazze, e dopo questo bel riassunto, vi auguro un buon inizio e alla prossima.
Preparatevi con le pentole e padelle, la prossima volta cucineremo!!

Manuela

Photo by Tim Gouw on Unsplash

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