Si dice che la vera motivazione che porta all’iscrizione alla facoltà di psicologia sia di natura nascosta, potremmo dire inconscia e si potrebbe formulare più o meno così:
“Il giovane che si iscrive a psicologia fa questa scelta perché vuole risolvere un problema personale depositato da qualche parte dentro di sé.”
In generale potrebbe anche essere vero, ma non sono mai stata tanto convinta che questa interpretazione fosse alla fine così utile (se non come domanda esplorativa all’interno di in un percorso di analisi).
Credo che una scelta formativa tutto sommato libera venga in questo modo presentata come in fondo sospinta da un accadimento negativo che nemmeno forse ricordiamo.
Invece che riversare altre paure sul futuro del giovane psicologo (oltre che inquinarne l’immaginario e le aspettative), mi sembra più importante sostenere la nostra immagine professionale:
“E’ vero, lo psicologo si occupa di ricercare cause e significare esperienze, ma solo con un lavoro preliminare di conoscenza del singolo individuo, mai per massime teoriche e tantomeno attraverso luoghi comuni.”
Quindi, se davvero vogliamo mantenere integra la nostra immagine professionale, potremmo evitare questo gigante stereotipo e iniziare col fare gli psicologi e ascoltare e sostenere di più quello che il futuro collega ha da dire all’inizio del suo percorso formativo, così da proporre una versione realistica della nostra professione e nel contempo lasciargli la libertà di scoprire da solo i propri panorami interni.
E quindi… “Quali sono le reali motivazioni dei giovani iscritti a Psicologia?”
Nel mio lavoro di formazione per l’Esame di Stato di Psicologia, ho potuto porre la domanda in più occasioni.
Comincerei col dire che le risposte sono tante e variegate: molti hanno scelto di fare psicologia perché sono sinceramente curiosi della natura umana, altri perché hanno desiderio di conoscere meglio se stessi, alcuni perché vogliono imparare ad approcciarsi all’altro, tanti sentono una spinta all’aiuto e al sacrificio verso il prossimo, altri ancora seguono le spinte genitoriali, taluni perché desiderano fare carriera e così via.
L’elenco potrebbe allungarsi a dismisura.
La verità è che…non esistono motivazioni giuste o sbagliate: ognuno ha la sua, più o meno esplicitata o totalmente inconscia.
Per quanto mi riguarda, anche un “Non lo so” può essere una valida risposta alla domanda :”Perché proprio psicologia?”.
L’unico vero errore per l’aspirante psicologo è non porsi la domanda e non sviluppare quella sana curiosità prima di tutto verso se stesso, importantissima nel nostro lavoro.
“Ma, alla fine… Quanto è rilevante la “motivazione” iniziale?”
Molto, ma bisogna intenderla come un seme da riporre sotto terra.
Bisogna lasciarlo lì, dimenticarsene alle volte, innaffiarlo e aspettare.
Il frutto di solito consiste in una scoperta preziosa che gli studenti di psicologia fanno durante le loro analisi: la risposta sarà soddisfacente perché sarà autenticamente bagnata dalle esperienze relazionali raccolte nella storia della propria vita.
Il consiglio per i neo iscritti è questo:
“Se volete diventare bravi, davvero bravi, fatevi la domanda e datevi il tempo per avere la vostra risposta, scoprirete la reale motivazione per cui avete scelto di diventare psicologi e questo definirà la vostra identità professionale e il vostro modo di lavorare molto più di qualsiasi teoria o manuale”.
Silvia si occupa dello sviluppo della professione dello psicologo, PSICOM, se ne voleste sapere di più leggete qui.
Articolo a cura di Silvia Tedone
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