La mente nel corpo #8 – Silvia Tedone

Silvia Tedone - Psicologa

Il cervello è l’organo cognitivo maggiormente riconosciuto come tale. La realtà però è che nel nostro corpo esistono molti altri centri nervosi – nel cuore e nell’addome per esempio – detentori di un “pensiero” fondamentale per la nostra sopravvivenza.

 

Secondo la teoria polivagale, non è solo il nostro cervello ad essere responsabile di quello che facciamo.

Questa teoria dice che il nostro sistema parasimpatico è suddiviso in due circuiti. Quello ventrovagale, filogeneticamente più nuovo, funziona in maniera molto intelligente guidando i muscoli del volto, dei polmoni e del cuore, determinando la nostra intelligenza emotiva, intesa come capacità di esprimere le nostre emozioni dopo aver elaborato correttamente il contesto in cui ci troviamo. La nostra voce, l’espressione facciale e pure la prosodia e il respiro vengono modulati per aiutarci ad avere un adeguato comportamento pro-sociale. Immaginiamo ora un soggetto in possesso della sola intelligenza del cervello, che si presenta a un colloquio di lavoro per essere assunto: sarà molto difficile che riesca a fare una buona impressione e a presentare bene se stesso senza che altri “sistemi pensanti” del suo corpo possano entrare in azione.
Prima ci insegnano che per un colloquio bisogna sorridere, essere assertivi e modulare la nostra mimica facciale insieme a quella dell’interlocutore per creare compliance, però, se dopo il colloquio andiamo in ospedale con un forte dolore al petto e una tac ci dice che non abbiamo niente, nessuno ci chiede cosa stavamo facendo poco prima. Escluso l’infarto, tutti a casa e “non pensarci”.

Questo è solo uno dei tanti esempi di come il nostro corpo possa essere non solo non ascoltato, ma anche negato dalla stessa disciplina che lo studia. Questo accade perché alcune parti di noi – come l’anima, il carattere, la percezione di noi stessi, eccetera – non sono prodotti scientifici, ma culturali, e non sono minimamente considerati da chi ha come unico obiettivo la costante ricerca di una oggettività. Il corpo come entità oggettiva? Non so, secondo me non sta più funzionando.

 

Eppure i nostri corpi si fanno sentire, rispondono alle più svariate situazioni e ci parlano.

Anche in questo periodo di pandemia sono stati eloquenti detentori di memorie antiche e psico somatizzazioni.  Il confinamento della percezione individuale alle periferie dell’interesse scientifico fa sì che le persone credano ben poco nelle loro sensazioni, ancor meno alle loro reazioni psicosomatiche. Non parliamo poi dei pensieri: lì è come stare nella terra di nessuno, un luogo senza legge, in cui può eruttare un vulcano sotterraneo da un momento all’altro o dove potrebbe non piovere per decenni, il tutto amministrato da un forte EGO che, come un dio, sopprime, controlla e zittisce. La pandemia forse, in un certo qual modo, ha dato a tutti la possibilità di mettere fuori da sé queste catastrofi interne, sottolineando l’importanza di seguire i propri ritmi e le proprie necessità corporee e mentali.

Perché le risposte che arrivano dal corpo vengono spesso bisfrattate?

Perché sono di natura percettiva e poco si prestano ad una rappresentazione digitale, mondo da cui siamo molto attratti e ci perdiamo costantemente, non solo dove si fa ricerca scientifica, ma anche individualmente, per ore, durante una giornata.

“Come mai la mente si lascia ammaliare da questi strumenti?”

Quartiroli, nel suo libro “L’io diviso”, dà la sua risposta: con questi strumenti evitiamo di pensare a quanto la nostra vita non sia in equilibrio con la nostra natura più profonda, e che una serie di dettami imposti dall’esterno e che ci hanno passato come buoni, siano invece tossici per noi.

E’ molto chiaro che siamo lontanissimi dal pensare che 8 ore di lavoro calpestino i nostri diritti in quanto “esseri umani”, o che fare un solo lavoro per tutta la vita sia da considerarsi anti-etico.

Chissà se questa “liquefazione della società” causata dal Covid-19 avrebbe solleticato il pensiero di Baumann, chissà cosa succederebbe se smettessimo di intendere i nostri corpi come oggetti che consumano, chissà se un giorno ci sarà data la possibilità di esprimere gli anni accumulati come anni guadagnati in intelligenza emotiva, chissà cosa capiterebbe se i corsi di orientamento per i giovani fossero pensati per rispondere alla domanda “chi posso essere” e non “cosa posso fare”, chissà se un giorno ci accorgeremo delle trappole insite nelle diciture “contratto a tempo indeterminato” o “lavoro dipendente”.

Articolo a cura di Silvia Tedone

Photo by Ahmad Odeh on Unsplash
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