La gestione del rischio Covid-19 in azienda

1. Le responsabilità del datore di lavoro rispetto al rischio di contagio sul luogo di lavoro.

– Uno di temi di maggior rilievo pratico attinenti alla gestione dell’emergenza da Covid-19 riguarda i profili di responsabilità per il datore di lavoro legati al rischio di contagio nello svolgimento dell’attività lavorativa.
Prima di analizzare la questione, va richiamata l’attenzione sul fatto che in materia di sicurezza sul lavoro la mancata adozione delle misure antinfortunistiche rileva innanzitutto di per sé come violazione della disciplina antinfortunistica contenuta nel Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) e comporta in capo al datore di lavoro una responsabilità penale per illeciti di natura contravvenzionale.

Inoltre, fermo ciò, qualora dalla mancata adozione di una misura antinfortunistica derivi, come conseguenza causale, il verificarsi di un infortunio lesivo o mortale, la violazione della normativa antinfortunistica fonda la responsabilità colposa del datore di lavoro, a seconda degli esiti, per le lesioni personali (art. 590 c.p.) o per la morte (art. 589 c.p.) dell’infortunato.

Va subito evidenziato che il quadro normativo di riferimento nel corso dell’emergenza sanitaria si è arricchito di disposizioni specifiche e mirate per la gestione del rischio di contagio sul luogo di lavoro. Ci si riferisce in particolare al Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavororedatto in una prima versione il 14 marzo 2020, la cui osservanza è stata imposta per le imprese a cui è stato consentito di riprendere l’attività lavorativa durante la fase 1 dell’emergenza dall’art. 2, comma 10 DPCM 10 aprile 2020.
Successivamente tale Protocollo – di applicazione generale per tutti i luoghi di lavoro – è stato aggiornato nella versione del 24 aprile 2020, in vista della ripresa delle attività produttive una volta superata la fase acuta dell’emergenza (la c.d. fase 2); inoltre, sono stati redatti Protocolli specifici per la gestione del rischio Covid-19 nei cantieri (nota 1) e nel settore trasporto e logistica (nota 2).
Il Legislatore ha stabilito che l’osservanza di questi Protocolli costituisce condizione essenziale per la ripresa delle attività produttive nella fase 2, atteso che, per contro, a norma dell’art. 2, comma 6 DPCM 26 aprile 2020 la mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

Si segnala peraltro che il Politecnico di Torino ha definito – nell’ambito di un documento dal titolo “Imprese aperte, lavoratori protetti” – prassi e metodologie applicative delle linee-guida indicate nel Protocollo, al fine di definire il quadro procedurale di dettaglio per il rientro controllato sui luoghi di lavoro.

Inoltre, va ancora dato conto del “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di 
contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”, nel quale state indicate dall’Inail le misure organizzative, di prevenzione e protezione di riferimento, anche in considerazione delle linee-guida espresse nel Protocollo.

Si è evidenziato fin dai primi commenti sul tema successivi all’insorgenza dell’emergenza sanitaria che, nel contesto della pandemia, l’affezione da COVID-19 in ambito lavorativo deve essere considerata a tutti gli effetti alla stregua di un infortunio sul lavoro – si è parlato al riguardo di “contagio-infortunio (nota 3)” – e che, di riflesso, le misure anti-contagio valgono quali misure di prevenzione antinfortunistiche.

Si è vista peraltro un’esplicita conferma di tale conclusione nelle disposizioni normative di emergenza, atteso che l’art. 42, comma 2 D.L. 17 marzo 2020, n. 18 ha qualificato espressamente “i casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro” come infortunio sul lavoro.

Anche in relazione alle misure anti-contagio vale quindi la considerazione generale svolta in apertura in relazione all’inosservanza delle misure antinfortunistiche: essa può assumere un duplice rilievo sul piano della responsabilità penale del datore di lavoro, sia in via autonoma, in quanto violazione della disciplina antinfortunistica, sia come elemento di colpa su cui fonda, nel caso si verifichi un infortunio-contagio, la responsabilità per lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) o, laddove sopraggiunga la morte, per omicidio (art. 589 c.p.).

Ciò posto, una prima questione problematica attinente alla responsabilità del datore di lavoro riguarda la specifica valutazione del rischio di contagio da Covid-19 nell’ambito del DVR e sul punto larga parte dei commentatori è orientata a favore della sussistenza di un simile obbligo (nota 4). Infatti, si sostiene in dottrina che, considerati lo stato di pandemia che ammorba l’ambiente esterno al contesto lavorativo e la potenziale contagiosità dei terzi con i quali si viene a contatto, lo svolgimento di qualsiasi mansione lavorativa che comporti anche solo un contatto occasionale con colleghi, clienti, fornitori, collaudatori, autotrasportatori, visitatori e soggetti terzi in genere di fatto espone il lavoratore nell’ambiente lavorativo ad un rischio biologico e pertanto costituisce a tutti gli effetti un rischio professionale che deve, in quanto tale, essere valutato e gestito dal datore di lavoro (nota 5).

Tale conclusione, a parere di autorevole dottrina, trova fondamento nelle norme generali del T.U.
Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro che presiedono alla valutazione dei rischi professionali; si è evidenziato in particolare che gli artt. 15, comma 1, lett. a), 17, comma 1, lett. a) e 28, commi 1 e 2 lett. a).

D. Lgs. n. 81/2008 prescrivono al datore di lavoro la valutazione della totalità dei rischi per la salute e sicurezza, senza limitazioni di sorta (nota 6), e che dal tenore dell’art. 28, comma 2, lett. a) D. Lgs. n. 81/2008 si ricava che la valutazione deve comprendere “tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa” e non solo quelli che derivano dallo svolgimento dell’attività lavorativa (nota 7). Sempre in questo senso è stata altresì richiamata la generale definizione di “valutazione dei rischi” contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. q) D. Lgs. n. 81/2008, a mente della quale per tale deve intendersi la “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza” (nota 8).

Il medesimo orientamento interpretativo classifica peraltro il rischio di contagio da Covid-19 come rischio di esposizione ad agente biologico e sostiene pertanto che la relativa valutazione debba seguire le regole specifiche della valutazione del rischio di esposizione ad agenti biologici previste nell’art. 271 D. Lgs. n. 81/2008 (nota 9). In tal senso, si rimarca infatti che l’art. 28, comma 3 D. Lgs. n. 81/2008 dispone che il contenuto del DVR deve altresì rispettare le indicazioni previste dalle specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei diversi titoli del T.U. Sicurezza e che tra questi è contemplato altresì il Titolo X, dedicato all’esposizione ad agenti biologici, le cui norme specifiche si applicano “a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici”, e quindi anche alle attività lavorative in cui tale rischio di esposizione non è conseguenza della deliberata intenzione di operare con agenti biologici (nota 10).

Va peraltro osservato che, oltre che dalle norme generali che disciplinano la valutazione dei rischi nell’ambiente di lavoro, il dovere di valutazione del rischio contagio da Covid-19 è ricavabile implicitamente anche dai protocolli anti-contagio sopra già richiamati.

Non si può revocare in dubbio infatti che l’applicazione delle linee-guida contenute nel Protocollo, nel rapporto “Imprese aperte, lavoratori protetti” del Politecnico di Torino o nel Documento tecnico INAIL sottintenda necessariamente la prioritaria valutazione del rischio di contagio; ciò del resto sembra trovare esplicita conferma nel punto 6 della versione del 24 aprile del Protocollo, nella quale si prescrive l’adozione di DPI adeguati in funzione della valutazione del complesso dei rischi aziendali – tra i quali sembra quindi doversi ritenere compreso il rischio di contagio da Covid-19 – e della mappatura delle attività dell’Azienda (“nella declinazione delle misure del Protocollo all’interno dei luoghi di lavoro sulla base del complesso dei rischi valutati e, a partire dalla mappatura delle diverse attività dell’azienda, si adotteranno i DPI idonei”).

È stato inoltre evidenziato un secondo e distinto profilo della gestione del rischio Covid-19 che attiene al tema della valutazione dei rischi. Esso consiste nell’obbligo, gravante sul datore di lavoro, di valutare i nuovi rischi, o l’aumento dei rischi preesistenti, in conseguenza dell’adeguamento dell’organizzazione del lavoro in conformità alle linee-guida di contenimento del contagio (nota 11); nel rapporto del Politecnico di Torino si parla, a tal proposito, di “rischi secondari” (nota 12).

Va infatti tenuto presente che, a norma dell’art. 29, comma 3 D. Lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro è tenuto a provvedere alla immediata rielaborazione della valutazione dei rischi “in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori” e, senza alcun dubbio, gli adeguamenti richiesti per la conformazione dell’organizzazione del lavoro alle nuove disposizioni anti-contagio ricade in tale ipotesi.

Peraltro si evidenzia che, con specifico riguardo all’analisi dei rischi secondari, il rapporto “Imprese aperte, lavoratori protetti” indica espressamente come opportuno l’aggiornamento dei Documenti di Valutazione dei rischi (nota 13).

Il particolare carattere di mutevolezza, legato alle evoluzioni della pandemia, che connota il rischio di affezione da Covid-19 nei luoghi di lavoro rischia peraltro di richiedere un aggiornamento continuo della valutazione del rischio con evidenti difficoltà operative. A tale proposito, tra le soluzioni pratiche proposte in dottrina si segnala l’ipotesi di adozione di un Documento di Valutazione dei Rischi modulare, che abbracci un arco di scenari diversi, che spazino dalle situazioni di più pressante gravità – simile a quella attraversata nelle settimane appena trascorse – a condizioni di “nuova normalità”, in modo tale che il datore di lavoro possa di volta in volta spuntare lo scenario più aderente alla condizione del momento e poter in questo modo contare su un Documento di Valutazione dei Rischi sempre aggiornato (nota 14).

Il passaggio consequenziale alla valutazione dei rischi è, com’è noto, l’attuazione delle misure di prevenzione e di protezione e l’adozione dei dispositivi di protezione individuali adeguati, dei quali deve essere data indicazione nel DVR in funzione delle risultanze della valutazione dei rischi (art. 28, comma 2, lett. b) D. Lgs. n. 81/2008).

Con riguardo al rischio di contagio da Covid-19 vengono in rilievo, in particolare, alcune misure di prevenzione e protezione tipizzate – vale a dire espressamente previste e disciplinate da specifiche disposizioni del T.U. Sicurezza – che in alcuni casi, come si è già in parte anticipato si sono arricchite delle specifiche indicazioni contenute nel Protocollo, oltre nel rapporto del Politecnico di Torino e nel Documento tecnico Inail.

La prima delle misure preventive che viene in gioco è l’obbligo di informazione (nota 15), misura che rientra sia tra le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro (art. 15, comma 1, lett. n) D. Lgs. n. 81/2008), sia tra i doveri specifici che gravano sul datore di lavoro (artt. 18, comma 1, lett. l) e 36 D. Lgs. n. 81/2008). L’obbligo di informazione è richiamato anche nel primo punto del Protocollo, nel quale si prescrive – in sintesi – che l’azienda, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, informi tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le prescrizioni impartite a livello normativo per contenere il contagio in atto, le regole igienico sanitarie da osservare in azienda, in relazione alle specifiche mansioni ed ai diversi contesti lavorativi, ed ogni altra misura precauzionale adottata. Il Documento tecnico INAIL ha messo in risalto la ratio di questo specifico obbligo informativo, laddove ha rimarcato che un’efficace informazione sul rischio e sul modo in cui viene gestito può costituire un valido antidoto contro il senso di insicurezza che caratterizza il contesto generale in questo frangente di emergenza (nota 16).

Una seconda misura preventiva che assume specifico rilievo, considerata la particolare natura del rischio in esame, è la sorveglianza sanitaria riferita al rischio di contagio da Covid-19 (nota 17).

Al riguardo va ricordato che secondo le norme generali del T.U. Sicurezza la necessità di sottoposizione dei lavoratori esposti ad agenti biologici alla sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 D. Lgs. n. 81/2008 – comprensiva quindi delle visite mediche elencate nel comma 2 di tale norma – è funzione delle risultanze della valutazione di tale specifico rischio. Infatti, l’art. 279, comma 1 D. Lgs. n. 81/2008 dispone che “qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41” e, per parte sua, l’art. 271, comma 4, D. Lgs. n. 81/2008 stabilisce che “nelle attività, quali quelle riportate a titolo esemplificativo nell’ALLEGATO XLIV, che, pur non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori agli stessi, il datore di lavoro può prescindere dall’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 273, 274, commi 1 e 2, 275, comma 3, e 279, qualora i risultati della valutazione dimostrano che l’attuazione di tali misure non è necessaria”.

La sorveglianza sanitaria è anch’essa oggetto delle linee-guida contenute nel Protocollo – segnatamente del punto 12 – nel quale si richiede innanzitutto che l’Azienda assicuri la prosecuzione dei servizi di sorveglianza sanitaria, nel rispetto delle misure igieniche di cautela necessarie, anche al fine di garantire la collaborazione del medico competente con il datore di lavoro e il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza nell’implementazione delle misure di regolamentazione dell’emergenza legata al Covid-19.

Nell’aggiornamento del Protocollo del 24 aprile è stata evidenziata l’opportunità che alla ripresa delle attività il medico competente sia coinvolto per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità. Con riguardo a tali soggetti si raccomanda che la sorveglianza sanitaria vi ponga particolare attenzione, anche in relazione all’età dei soggetti fragili, ed inoltre si prescrive che il medico competente segnali all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e che l’azienda provveda alla loro tutela nel rispetto della privacy.

La sorveglianza sanitaria è oggetto anche del Documento tecnico INAIL, il quale appare orientato a suggerire in maniera più marcata la necessità di attivazione della sorveglianza sanitaria nell’attuale contesto emergenziale. È infatti espressamente indicato che “relativamente alle aziende dove non è già presente il medico competente, in via straordinaria, va pensata la nomina di un medico competente ad hoc per il periodo emergenziale o soluzioni alternative, anche con il coinvolgimento delle strutture territoriali pubbliche (ad esempio, servizi prevenzionali territoriali, Inail, ecc.) che, come per altre attività, possano effettuare le visite, magari anche a richiesta del lavoratore”.

Il Documento tecnico INAIL identifica “i lavoratori con particolari situazioni di fragilità” nei lavoratori appartenenti alle fasce di età più elevate (tendenzialmente sopra i 55 anni) o affetti da specifiche patologie croniche. Infatti nel Documento si legge che “i dati epidemiologici mostrano chiaramente una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione nonché in presenza di alcune tipologie di malattie cronico degenerative (ad es. patologie cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche) che in caso di comorbilità con l’infezione possono influenzare negativamente la severità e l’esito della patologia”. In relazione a tale categoria di lavoratori il Documento INAIL suggerisce l’introduzione della “sorveglianza sanitaria eccezionale” che “verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni o su lavoratori al di sotto di tale età ma che ritengano di rientrare, per condizioni patologiche, in questa condizione anche attraverso una visita a richiesta. In assenza di copertura immunitaria adeguata (utilizzando test sierologici di accertata validità), si dovrà valutare con attenzione la possibilità di esprimere un giudizio di «inidoneità temporanea» o limitazioni dell’idoneità per un periodo adeguato, con attenta rivalutazione alla scadenza dello stesso” (nota 18).

Sia l’aggiornamento del Protocollo del 24 aprile che il Documento INAIL prevedono disposizioni in relazione al reintegro progressivo dei lavoratori dopo l’infezione da COVID19. In particolare, è previsto che il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettui la visita medica precedente alla ripresa del lavoro di cui all’art. 41, comma 2, lett. e-ter) D. Lgs. n. 81/2008 anche per valutare profili specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.

Un’ultima misura di prevenzione tipizzata in materia di sicurezza sul lavoro, che risulta particolarmente pregnante nell’attuale contesto di epidemia, consiste nell’obbligo di fornitura di adeguati dispositivi di protezione individuale (DPI). Esso rientra tra gli obblighi generali gravanti sul datore di lavoro, il quale è tenuto a “fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente” (art. 18, comma 1, lett. d) D. Lgs. n. 81/2008).

Sul punto le linee-guida del Protocollo prescrivono l’impiego di mascherine in conformità a quanto previsto dalle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità e consentono, data la situazione di emergenza, in caso di difficoltà di approvvigionamento ed alla sola finalità di evitare la diffusione del virus, l’impiego di mascherine la cui tipologia corrisponda in ogni caso alle indicazioni dall’autorità sanitaria.

Inoltre, per l’evenienza che la specificità della mansione imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative, il Protocollo impone, oltre alle mascherine, anche l’uso di altri dispositivi di protezione, quali a titolo di esempio guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie.

Nell’aggiornamento del Protocollo del 24 aprile – come si è già accennato – si è evidenziata la necessaria corrispondenza dei DPI alle risultanze della valutazione dei rischi aziendali ed alla mappatura delle diverse attività dell’Azienda, con ciò avallando la necessità dell’aggiornamento del DVR rispetto al rischio di contagio da Covid-19.

Nello stesso documento viene in ogni caso prescritto l’impiego di una mascherina chirurgica per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni.

In conclusione va infine evidenziato che anche per il rischio di contagio da Covid-19 – al pari di tutti gli altri rischi professionali – le misure di prevenzione e protezione richiamate – e segnatamente l’ultima relativa all’impiego di adeguati DPI – postulano la sussistenza di un’ulteriore e generale misura preventiva, vale a dire l’obbligo di vigilanza sull’attuazione e sull’osservanza delle misure preventive predisposte (nota 19). Tale obbligo è stabilito com’è noto a carico del datore di lavoro – oltre che, per quanto di propria competenza, del dirigente e del preposto – e consiste nel dovere, previsto nell’art. 18, comma 1, lett. f) D. Lgs. n. 81/2008, di richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi disposizione – tra cui rientrano, dunque, alla luce di quanto precede anche le misure di prevenzione dal contagio da Covid-19.

In conclusione, come sottolineato in apertura, l’inidonea valutazione del rischio ovvero la mancata predisposizione di una delle attività ritenute essenziali per la prevenzione dell’insorgenza del contagio sul luogo di lavoro potranno far scattare la responsabilità per il datore di lavoro sia per i reati contravvenzionali previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 sia per i delitti ad evento previsti dal codice penale negli art. 589 (omicidio colposo) ovvero 590 (lesioni colpose aggravate).
È pertanto necessario che il Datore di lavoro (originario o delegato) si attenga scrupolosamente all’attuazione di tutte le misure di prevenzione dell’insorgenza del virus (nota 20), mediante un confronto continuo e costante con tutto l’apparato aziendale volto alla prevenzione degli infortuni: sia con gli organi c.d. di staff – l’RSPP, il Medico competente – sia con l’RLS e sia anche con tutte le figure in linea partire dai Preposti.

In questo contesto saranno certamente da calendarizzare lezioni specifiche di formazione del personale prima della ripresa delle attività (possibilmente a distanza) e il maggior numero di riunioni di coordinamento possibili, oltre alle riunioni periodiche obbligatorie se previste. Laddove, peraltro, sia stato predisposto un Modello Organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, come si avrà modo di dire a breve, sarà necessario che fra gli autori di questo coordinamento sia coinvolto l’Organismo di Vigilanza, che dovrà recepire con un costante flusso informativo tutte le informazioni relative alla gestione della prevenzione del contagio.

2. Emergenza Covid-19 e rischio di responsabilità amministrativa dell’Ente ex D. Lgs. n. 231/2001.

– Un tema collaterale a quello della responsabilità datoriale riguarda il rischio di insorgenza di responsabilità amministrativa dell’Ente, ai sensi del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in connessione con la gestione del rischio di contagio da Covid-19.

Al riguardo, il primo profilo a venire in rilievo è quello relativo alla responsabilità dell’Ente in relazione all’illecito di cui all’art. 25 septies D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Com’è noto, tale norma stabilisce infatti la responsabilità dell’Ente per i delitti di omicidio colposo o lesioni personali colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

Alla luce delle considerazioni svolte sopra sulla rilevanza del rischio di contagio in relazione alla responsabilità del datore di lavoro per l’“infortunio-contagio” è evidente che in caso di affezione da Covid-19 contratta nell’ambiente lavorativo diventa configurabile in astratto la responsabilità della Società in applicazione della norma citata (nota 19).

Ciò posto, ci si è chiesti in dottrina in che misura possano essere configurabili l’interesse o il vantaggio dell’Ente che radicano, in concreto, in capo alla Società la responsabilità per gli illeciti previsti dal D. Lgs. n. 231/2001. Com’è noto, infatti, a mente dell’art. 5 D. Lgs. n. 231/2001 l’Ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio i) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, ovvero ii) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza delle prime.

Al riguardo, richiamando il tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’interesse dell’Ente è configurabile quando l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre il requisito del vantaggio ricorre qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività (nota 20), si è ipotizzato in dottrina che un interesse rilevante potrebbe essere configurato nell’omesso acquisto di dispositivi anti-contagio – semprechè, ben s’intende, si tratti di una scelta orientata al risparmio di spesa e non già necessitata dall’impossibilità oggettiva di reperire sul mercato i DPI richiesti per contingenze legate all’emergenza – mentre un vantaggio rilevante potrebbe ravvisarsi nella prosecuzione dell’attività produttiva, con conseguente mantenimento di immutati livelli produttivi, in violazione del dovere di osservanza dei presidi di distanziamento prescritti dalle linee-guida anti-contagio (nota 21).

Dal ché discende quindi che, nell’ottica di difesa dell’Ente in eventuali procedimenti a suo carico – oltre che, a monte, di prevenzione dalla contestazione di illeciti 231 – appare opportuna l’implementazione, in funzione anti-contagio, dei presidi di sicurezza già esistenti in Azienda e l’adozione di specifici protocolli anti-contagio, anche quali validi presidi di prevenzione dalla responsabilità degli Enti (nota 22).

Allargando l’orizzonte oltre ai rischi legati all’inosservanza delle norme antinfortunistiche, si è peraltro rilevato che la gestione del periodo emergenziale legato alla pandemia da Covid-19 ha allargato sensibilmente e in svariate direzioni l’area di rischio di commissione dei reati presupposto della responsabilità degli Enti e pertanto richiede un adeguato risk assessment in funzione dei nuovi rischi sopravvenuti. A tal riguardo è sufficiente por mente, a mero titolo di esempio, al considerevole ampliamento dell’area sensibile relativa alla commissione dei reati informatici, richiamati nell’art. 24 bis D. Lgs. n. 231/2001, in conseguenza dell’adeguamento dell’organizzazione del lavoro alla modalità smart working, ovvero al moltiplicarsi di occasioni di commissione dei reati di truffa aggravata ai danni dello Stato, di malversazione e di indebita percezione di erogazioni pubbliche in relazione al processo di richiesta e gestione degli ammortizzatori sociali e delle misure di sostegno all’accesso al credito predisposte dallo Stato per sostenere le imprese italiane.

Ora, vista in primo luogo l’esigenza di prevedere nuovi protocolli per garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro (se non addirittura l’aggiornamento del DVR) risulta certamente necessario che l’Organismo di Vigilanza sia particolarmente attento nell’utilizzo di tutti gli strumenti a sua disposizione: verifica scrupolosa delle segnalazioni eventualmente pervenute e più in generale dei flussi informativi; richiesta di aggiornamenti costanti dei presidi anticontagio (che siano perlomeno in linea con i minimi parametri stabiliti dai recenti provvedimenti normativi); riunioni straordinarie in teleconferenza con la convocazione dell’RSPP, del Datore di lavoro e del responsabile delle Risorse umane.

Come evidenziato, visto il rischio di commissione di altre fattispecie, valuti l’Organismo di Vigilanza di porre una certa attenzione anche all’esigenza di predisporre audit aventi ad oggetto la richiesta degli ammortizzatori sociali e alle altre misure di sostegno, valutando con l’Organo amministrativo di richiedere che sia predisposta una procedura di corretta gestione di tali fondi (nel caso non sia già presente), ed eventualmente sentendo in un’apposita riunione il Consulente del lavoro unitamente al Responsabile del Personale e dell’Ufficio paghe.
 

Quanto alle Società che non si fossero ancora dotate del Modello Organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, non resta che sottolineare che – ancorché sia comprensibile che il momento di difficoltà economiche possa indurre a non effettuare investimenti in compliance in questo momento – considerando la necessaria lunga convivenza con il virus, sia venuto il momento opportuno di introdurre finalmente in Azienda questo ulteriore presidio, semmai partendo proprio da un modello che si concentri almeno in una prima fase sulla prevenzione dei delitti di omicidio colposo o lesioni personali colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

a cura di
Avv. PhD Antonio F. Morone
a.morone@studiolegalemorone.it
Avv. Roberto Impeduglia
r.impeduglia@studiolegalemorone.it

Note:

  1. Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nei cantieri,
    sottoscritto il 24 aprile 2020.
  2. Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore
    del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020
  3. RIVERDITI – AMERIO, Covid-19 e infortuni sul lavoro: risvolti penalistici, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 3, 3.
  4. CORSARO – ZAMBRINI, Compliance aziendale, tutela dei lavoratori e gestione del rischio pandemico, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 3, 5; GUARINIELLO, La sicurezza sul lavoro al tempo del coronavirus, Milano, 2020, 4 ss.; ISOLDI – POLIDOROPrime riflessioni sulla necessità che l’OdV chieda al datore di lavoro di integrare il documento di valutazione dei rischi a fronte del Covid-19, in www.rivista231.it; RIVERDITI – AMERIO, op. loc. ult. cit..
  5. In questo senso in particolare ISOLDI – POLIDORO, op. loc. ult. cit..
  6. CORSARO – ZAMBRINI, op. cit., 4; GUARINIELLO, op. cit., 5.
  7. GUARINIELLO, op. loc. ult. cit..
  8. GUARINIELLO, op. cit., 11.
  9. CORSARO – ZAMBRINI, op. loc. ult. cit.; ISOLDI – POLIDORO, op. loc. ult. cit..
  10. GUARINIELLO, op. cit., 9.
  11. RIVERDITI – AMERIO, op. loc. ult. cit..
  12. Rapporto del Politecnico di Torino “Imprese aperte, lavoratori protetti”, 11.
  13. Rapporto del Politecnico, op. loc. ult. cit..
  14. ISOLDI – POLIDORO, op. loc. ult. cit…
  15. GUARINIELLO, op. cit., 17.
    Si segnala che il Documento tecnico INAIL abbina all’informazione l’attività di formazione, misura di prevenzione tipizzata dal T.U. Sicurezza, che grava sul datore di lavoro (artt. 18, comma 1, lett. l), 37 D. Lgs. n. 81/2008).
  16. Documento tecnico INAIL, pag. 14
  17. GUARINIELLO, op. cit., 18.
  18. Documento tecnico INAIL, pag. 15.
  19. GUARINIELLO, op. cit., 17.
  20. PALAZZO , Pandemia e responsabilità colposa , in www.sistemapenale.it , 26/4/2020.
  21. BONSEGNA – MICELI, Modello 231, OdV e contagio da Covid-19: il mito del 25-septies fra leggenda e realtà, in www.rivista231.it.; PELLERINO – TOLIO, Responsabilità dell’Ente ex D. Lgs. 231/01 nel caso di dipendente contagiato da Covid-19, in www.rivista231.it..
  22. Si veda di recente Cass., Sez. IV, 29 gennaio 2020, n. 3731, in www.italgiure.giustizia.it.
  23. Avanzano queste ipotesi ad esempio BONSEGNA – MICELI, op. loc. ult. cit.; PELLERINO – TOLIO, op. loc. ult. cit..
  24. BONSEGNA – MICELI, op. loc. ult. cit..

Foto di Engin Akyurt da Pixabay 

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